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Collaboro dal 1993 con la rivista "Segnocinema". Amo l'appennino pistoiese, l'Aglianico del Vulture, i miei amici. Tengo per il Toro, e sono un lettore pressoché onnivoro. Ho scritto due romanzi, 'Ho una storia per te' e 'L'odore della polvere da sparo', entrambi pubblicati da Edizioni Spartaco.

domenica 15 aprile 2012

Del pregiudizio

Archibald J. Cronin
Avevo in mente un paio di argomenti per aggiornare un po' questo blog che langue. Per mia pigrizia, di sicuro. Ma anche perché questo è stato un periodo di letture intense e diversificate. Ma poi chissà. A volte mi chiedo se immergersi nelle letture compulsive e disordinate non sia per me un mezzuccio grazie al quale sfuggire alla fatica della scrittura. Perché scrivere costa più fatica che leggere. O, almeno, così a me pare.

Non sempre mi rispondo. Perché? Ma è ovvio: perché temo la mia risposta.

Vabbé, detto questo andiamo avanti senza continuare a ciurlare nel manico.
Dicevo di quel paio di argomenti. Il primo aveva a che fare con il pregiudizio letterario. Sapete, quella particolare forma di snobismo o di saccenteria che porta a non frequentare alcuni autori o libri in nome di chissà che cosa. Il secondo lo riservo per il prossimo post. Ovviamente quando Noè riaprirà l'arca.

A me è capitato e continua a capitare di nutrire pregiudizi letterari. Senza fare una lunga lista delle mie personali e spesso aprioristiche idiosincrasie, cercherò di spiegare la cosa raccontandovi una storia.

Una trentina d'anni fa un mio fraterno amico (che continua a essere tale), mi fa sapere che una nostra comune conoscenza, in procinto di lasciare la città, aveva messo da parte un regalo per me. Raccomandandosi molto, mi si diceva, perché quel regalo arrivasse davvero nelle mie mani.

Bene. La cosa mi faceva ovviamente piacere e mi incuriosiva molto. Per un paio di motivi (ma possibile che non ce n'è mai uno solo, di  motivo?). Il primo dei quali consisteva nel fatto che non mi aspettavo di ricevere un regalo da quella suora, donna dall'aspetto alquanto arcigno e molto autoritario, che per ordini superiori doveva trasferirsi presso un'altra sede di apostolato e di testimonianza. Il secondo motivo era più banale: cosa aveva pensato di regalarmi? E perché fare un regalo proprio a me?

Dunque con Pasquale Belmonte (si chiama così il mio amico, tra l'altro valentissimo pittore, che potrebbe diventare ancora più bravo se...ma lasciamo stare, che questo è un altro discorso) si va, ci si presenta, si chiede e dopo qualche minuto una suora molto giovane e di candido vestita mi recapita il dono.
Ah, penso con un misto di piacere e di preoccupazione, un libro. Un libro. Mentre lo libero dalla sua confezione, sento appena la voce della suorina che mi dice: "La Madre si è tanto raccomandata perché lei lo legga". Per assecondare il clima di rarefatta cortesia dico grazie, che di sicuro lo leggerò.

Usciamo e Pasquale mi chiede: "Cos'è?".
Rispondo: "La cittadella di Cronin. Mah!"

Già. La cittadella di Cronin. E nell'edizione che vedete qui di fianco. Che volete. Avevo visto lo sceneggiato con Alberto Lupo negli anni della mia fanciullezza e l'unica cosa che mi era rimasta impressa riguardava i commenti poco lusinghieri di mia nonna rispetto, mi pare, a un tradimento coniugale o similia del celeberrimo dottor Manson.

Si aggiungeva a questo il fatto che Cronin non aveva, presso l'intellighenzia (lo scrivo così, non mi costringete ora a consultare un dizionario) di allora, grande credito. Ostracismo, diceva qualcuno di formazione cattolica. Ostracismo? Ma quale ostracismo, potevo pensare io, che ai tempi ero ben inquadrato in teorie eccetera allora di moda. Ostracismo? Ma quale ostracismo. Se è stata proprio una monaca a regalarmelo, allora vuol dire che è vero: i romanzi di Cronin sono un po' bacchettoni e sanno un po' di sacrestia. Essì essì, la pensavo proprio così.

Risultato. Il libro mi ha seguito nei miei trasferimenti e nei miei traslochi, ma per trent'anni è stato lì, solamente come il ricordo di un gesto che comunque mi era piaciuto.

Poi capita. Come spesso succede, capita. Di recente comincio a leggere Cronin. E la sedia sfugge dalle mie venerabili terga. Eccheddiamine! Minatori. Lavoro duro. Miseria. La vita che si afferra con i denti.

Ma il cielo non risponde, E le stelle stanno a guardare,  Il castello del cappellaio, L'albero di Giuda, La cittadella, Anni verdi... E quindi mi capita di dire che oggi Archibald J. Cronin a me pare un grande. Un grandissimo, se la Bompiani o chi per essa si decidesse ad aggiornare le traduzioni, ormai vetuste, dei suoi romanzi.


Per quel che invece riguarda me, un po' scornato e senza ricorrere a tanti giri di parole altrimenti aggraverei la situazione, non posso far altro che chiedere dove sia ora suor Luciana, che devo ancora ringraziarla. Il tempo, come si dice, è galantuomo. Nei fatti della vita, e anche in quelli della letteratura.


3 commenti:

  1. Credo di averli letti quasi tutti prima che Alberto Lupo e Anna Maria Guarnieri arrivassero nelle nostre tiuvù. Erano libri dei miei e sono ancora tutti nella mia libreria, sai che erano secoli che non ci pensavo più? magari è venuto il momento di rileggerne qualcuno, grazie a te.

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  2. io soffro parecchio di pregiudizi letterari, e la scusa che mi sono ritagliato è "il poco tempo che ho lo dedico ai miei preferiti" (sarà poi una scusa ? mah !). La cittadella e E le stelle stanno a guardare l'ho letti e riletti varie volte, e non mi sembrano affatto da buttare. Così come ce ne sono tanti altri, il problema è trovare il tempo per leggerli...(!!!)

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  3. insomma hai fatto due torti: ad uno hai rimediato con questo bel post... non ti resta ora che trovare suor Luciana! :)

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